lunedì 27 agosto 2018

UNA PICCOLA STORIA D’AMORE (parte quinta)

                    (questa foto è mia e ne rivendico tutti i diritti. se ti piace e vuoi usarla, per piacere cita la fonte. grazie)

LA STORIA VISTA DA LEI


Le AMICHE, quelle con la “A” maiuscola … anzi quelle tutte MAIUSCOLE, quelle che ti sostengono quando tutto sembra vacillare.

Ognuna a modo loro, nel modo a loro più consono: e così c’era quella che, convinta che un po’di dolcezza avrebbe salvato il mondo, arrivava sotto casa alle 8 di mattina, citofonava e saliva con la brioche appena sfornata. O l’amica “salutista” che la trascinava a correre nel parco di buon’ora perché “ossigenare i pensieri li rende meno neri” era il suo slogan.
O quella che arrivava, si sedeva in camera e stava semplicemente lì, ad ascoltare, se Chiara voleva sfogarsi, oppure a parlare per distrarre un po’ l’amica.
E quell’altra che si era proposta per fare un po’ di ripasso insieme “che tra un po’ inizia la scuola e non possiamo farci trovare impreparate”, oppure “la secchiona” che organizzava visite guidate a mostre e musei e le riempiva la testa di nozioni e dati storici.

E così, una sera si era soffermata a pensare che le amiche le avevano veramente riempito la vita in quell’ultimo periodo e soffriva ancora il distacco, certo, ma era più una malinconia che un dolore vero e proprio.
Le mancavano le passeggiate abbracciati, le carezze, il guardarsi negli occhi e vedersi riflessi in quelli dell’altro … le mancavano le loro lunghe chiacchierate all’ombra dei portici o seduti sotto un albero ai giardinetti, le mancava “il rituale” fatto di fisicità,di complicità.

Francesco stava tenendo fede alle promesse fatte e fatta eccezione per i primi giorni di assestamento , le lettere avevano iniziato ad arrivare quotidianamente. Lei ancora non poteva spedire le sue risposte per un cavillo burocratico che non aveva ben capito, ma questo non le impediva di scrivere a sua volta in attesa di avere un recapito al quale spedire.

Il postino aveva cominciato bonariamente a prenderla in giro e quando la trovava “casualmente” appostata in attesa ,vicino alle cassette della posta, cominciava ad armeggiare dentro la grande borsa di cuoio per poi smistare la corrispondenza nelle varie "buche".
Ad un certo punto, finita la consegna, risaliva sulla bicicletta e si allontanava salutandola. E lei rimaneva lì un po’ delusa … ma passavano 20, massimo 30 secondi e il portalettere faceva capolino dal portone rimasto accostato, sicuro di trovarla ancora lì e sorridendo diceva : “Ma tu guarda cosa mi era finita in fondo al borsone!” e le porgeva la busta azzurrina alla vista della quale il suo cuore cominciava a fare le capriole.

Leggeva le lettere tutte d’un fiato, come chi dopo una lunga corsa finalmente riesce ad impossessarsi di una bottiglietta d’acqua … e poi le rileggeva con più calma, soffermandosi sui passaggi salienti, cercando di immaginare come fosse la nuova vita, là, al Nord.
E cominciava a fare progetti per quando si sarebbero rivisti … cosa gli avrebbe detto, cosa avrebbero fatto insieme, dove sarebbero andati a rifugiarsi per ritrovare un po’ di intimità.

In casa sua era un periodo di tregua: la mamma sembrava stranamente serena, la sera usciva meno e parecchie volte aveva trovato entrambi i genitori seduti sul divano, la testa della moglie appoggiata sulla spalla del marito, che parlavano fitto fitto di case, mobili e lavoro.
Non aveva capito molto ma la tranquillità che aleggiava nelle stanze la faceva ben sperare.

Poi un giorno suo padre l’aveva fatta sedere al suo fianco sul bracciolo della poltrona e le aveva chiesto sorridendo : <<ti piacerebbe andare a vivere a Roma? Pensa che bello!! Vivere nella capitale!!>> la mamma languidamente seduta sul divano assentiva con la testa, gli occhi che brillavano.
Era rimasta un po’ stupita da quella domanda e aveva risposto : <<cosa c’entra Roma? Perché mi fai una domanda del genere? C’è qualcosa che dovrei sapere?>>
Il babbo serafico aveva spiegato che già da tempo attendeva una risposta ad un concorso che aveva fatto presso una prestigiosa biblioteca Capitolina e che finalmente quella risposta era arrivata ed era la proposta di trasferirsi andando ad occupare un posto di livello superiore all’attuale.
Questo significava una mole di lavoro forse più grande ma meglio organizzata, una retribuzione più alta e la possibilità di vivere in una delle città più belle del mondo.
E il papà aveva concluso dicendo : <<lo so che per te sarà un impatto, dovrai cambiare scuola, farti amicizie nuove. Mi consola solo il fatto che Francesco è già lontano quindi non dovrai subire un ulteriore “strappo”>>

Certo l'idea di abbandonare la sua cittadina, le sue amicizie, un po' la rattristava ma ... l’idea di andare a vivere a Roma la solleticava, inutile negarlo. E a quanto pare solleticava pure la mamma che la guardava con una strana luce negli occhi. Forse una grande città era proprio quello che le serviva per cacciare i suoi demoni.

E così dopo giorni e giorni passati a casa di Francesco ad aiutarlo a impacchettare roba, fare scatoloni e valigie, adesso toccava a lei.

Si accorse di quanta poca roba fosse veramente importante nella sua vita: i libri certo, ma non tutti quelli che riempivano la sua libreria.
Li divise in 2 grandi scatoloni: su uno scrisse con il pennarello rosso “ROMA” e sull’altro “CENTRO DIURNO” ( i libri non si buttano mai! Piuttosto si regalano agli amici, alle associazioni, al tizio che li rivende a metà rezzo al mercatino delle pulci ma buttarli nel bidone della spazzatura MAI! sarebbe stato come gettare via la cultura)

La stessa cosa fece con gli abiti: scelse accuratamente quelli che voleva per sé e gli altri li chiuse in 2 grossi sacchi che avrebbe portato “all’opera S.Vincenzo”.

In mezzo a tutte queste attività la corrispondenza che arrivava dalla Germania era un punto fisso … ogni giorno il portalettere le recapitava una busta con un po’ di Germania. Cosa si mangiava, che musica si ascoltava, com’erano i ragazzi della loro età, cosa facevano nel tempo libero.

E lei continuava a rispondere a queste missive e depositava tutte le sue lettere in una grande scatola a fiori in attesa di ricevere l’agognato indirizzo teutonico.
E un pomeriggio, mentre riponeva l’ennesima lettera nella scatola rimase con la mano a mezz’aria come se l’avesse colpita un fulmine. Poi si riscosse e corse da sua madre che, in salotto, stava avvolgendo nella carta di giornale, una collezione di animaletti di vetro di Murano per poi depositarli dentro una capiente scatola che già conteneva calici e bicchieri di cristallo.

<< Mamma pensavo una cosa, ma se l’indirizzo di Francesco non mi arriva prima del nostro trasferimento ? Io non posso scrivergli che stiamo traslocando, lui non saprà mai il nostro nuovo indirizzo … come facciamo???>>
La mamma ci pensò un attimo e poi disse :<< sai cosa facciamo? Lasciamo il nostro nuovo indirizzo alla portinaia con la preghiera di inoltrarci tutta la corrispondenza che arriverà dopo la nostra partenza, così nessuna lettera di Francesco andrà persa e quando finalmente ti manderà il nuovo indirizzo tu potrai spedirgli il nostro di Roma. Non disperare! Come diceva la nonna Maria :“se lui è quello destinato per te, nessuno te lo porterà via” Però adesso abbiamo qualcosa di più impellente da fare : dobbiamo andare a scuola a prendere il nullaosta per il trasferimento nella nuova scuola di Roma.>>

Nel giro di qualche giorno avevano disdetto le varie utenze, il contratto di affitto dell’appartamento e si preparavano a lasciare anche loro la città. Del nuovo indirizzo di Francesco però non c’era ancora traccia.

“Andrà tutto bene, andrà tutto bene…” se lo ripeteva come un mantra.

Insediarsi nel nuovo appartamento, andare ad iscriversi a scuola, utilizzare gli ultimi giorni di vacanze per fare un po’ la turista. Tutte queste occupazioni facevano sì che la nostalgia per “l’amato” facesse capolino solo alla sera quando esausta si stendeva sotto le coperte.

Dal suo arrivo nella nuova città non aveva ancora ricevuto alcuna lettera ma pensava che la portinaia del vecchio stabile avesse ritenuto di raccogliere un po’ di corrispondenza prima di “girarla” al nuovo indirizzo.
Tutto si muoveva freneticamente e non c’era proprio il tempo di piangersi addosso.

Sarebbe andato tutto bene … se solo la portinaia …..
                                                                                                                                                                                    (continua)

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