LA STORIA VISTA DA LEI
Le AMICHE, quelle con la “A” maiuscola … anzi quelle
tutte MAIUSCOLE, quelle che ti sostengono quando tutto sembra vacillare.
Ognuna a modo loro, nel modo a loro più consono: e
così c’era quella che, convinta che un po’di dolcezza avrebbe salvato il mondo,
arrivava sotto casa alle 8 di mattina, citofonava e saliva con la brioche
appena sfornata. O l’amica “salutista” che la trascinava a correre nel parco di
buon’ora perché “ossigenare i pensieri li rende meno neri” era il suo slogan.
O quella che arrivava, si sedeva in camera e stava
semplicemente lì, ad ascoltare, se Chiara voleva sfogarsi, oppure a parlare per
distrarre un po’ l’amica.
E quell’altra che si era proposta per fare un po’ di
ripasso insieme “che tra un po’ inizia la scuola e non possiamo farci trovare
impreparate”, oppure “la secchiona” che organizzava visite guidate a mostre e
musei e le riempiva la testa di nozioni e dati storici.
E così, una sera si era soffermata a pensare che le
amiche le avevano veramente riempito la vita in quell’ultimo periodo e soffriva
ancora il distacco, certo, ma era più una malinconia che un dolore vero e
proprio.
Le mancavano le passeggiate abbracciati, le carezze,
il guardarsi negli occhi e vedersi riflessi in quelli dell’altro … le mancavano
le loro lunghe chiacchierate all’ombra dei portici o seduti sotto un albero ai
giardinetti, le mancava “il rituale” fatto di fisicità,di complicità.
Francesco stava tenendo fede alle promesse fatte e
fatta eccezione per i primi giorni di assestamento , le lettere avevano
iniziato ad arrivare quotidianamente. Lei ancora non poteva spedire le sue
risposte per un cavillo burocratico che non aveva ben capito, ma questo non le
impediva di scrivere a sua volta in attesa di avere un recapito al quale
spedire.
Il postino aveva cominciato bonariamente a prenderla
in giro e quando la trovava “casualmente” appostata in attesa ,vicino alle cassette della
posta, cominciava ad
armeggiare dentro la grande borsa di cuoio per poi smistare la corrispondenza
nelle varie "buche".
Ad un certo punto, finita la consegna, risaliva sulla
bicicletta e si allontanava salutandola. E lei rimaneva lì un po’ delusa … ma
passavano 20, massimo 30 secondi e il portalettere faceva capolino dal portone
rimasto accostato, sicuro di trovarla ancora lì e sorridendo diceva : “Ma tu
guarda cosa mi era finita in fondo al borsone!” e le porgeva la busta azzurrina
alla vista della quale il suo cuore cominciava a fare le capriole.
Leggeva le lettere tutte d’un fiato, come chi dopo una
lunga corsa finalmente riesce ad impossessarsi di una bottiglietta d’acqua … e
poi le rileggeva con più calma, soffermandosi sui passaggi salienti,
cercando di immaginare come fosse la nuova vita, là, al Nord.
E cominciava a fare progetti per quando si sarebbero
rivisti … cosa gli avrebbe detto, cosa avrebbero fatto insieme, dove sarebbero
andati a rifugiarsi per ritrovare un po’ di intimità.
In casa sua era un periodo di tregua: la mamma
sembrava stranamente serena, la sera usciva meno e parecchie volte aveva
trovato entrambi i genitori seduti sul divano, la testa della moglie appoggiata
sulla spalla del marito, che parlavano fitto fitto di case, mobili e lavoro.
Non aveva capito molto ma la tranquillità che
aleggiava nelle stanze la faceva ben sperare.
Poi un giorno suo padre l’aveva fatta sedere al suo
fianco sul bracciolo della poltrona e le aveva chiesto sorridendo : <<ti
piacerebbe andare a vivere a Roma? Pensa che bello!! Vivere nella
capitale!!>> la mamma languidamente seduta sul divano assentiva con la
testa, gli occhi che brillavano.
Era rimasta un po’ stupita da quella domanda e aveva
risposto : <<cosa c’entra Roma? Perché mi fai una domanda del genere? C’è
qualcosa che dovrei sapere?>>
Il babbo serafico aveva spiegato che già da tempo
attendeva una risposta ad un concorso che aveva fatto presso una prestigiosa
biblioteca Capitolina e che finalmente quella risposta era arrivata ed era la
proposta di trasferirsi andando ad occupare un posto di livello superiore
all’attuale.
Questo significava una mole di lavoro forse più grande ma meglio
organizzata, una retribuzione più alta e la possibilità di vivere in una delle
città più belle del mondo.
E il papà aveva concluso dicendo : <<lo so che
per te sarà un impatto, dovrai cambiare scuola, farti amicizie nuove. Mi
consola solo il fatto che Francesco è già lontano quindi non dovrai subire un
ulteriore “strappo”>>
Certo l'idea di abbandonare la sua cittadina, le sue amicizie, un po' la rattristava ma ... l’idea di andare a vivere a Roma la solleticava,
inutile negarlo. E a quanto pare solleticava pure la mamma che la guardava con
una strana luce negli occhi. Forse una grande città era proprio quello che le
serviva per cacciare i suoi demoni.
E così dopo giorni e giorni passati a casa di
Francesco ad aiutarlo a impacchettare roba, fare scatoloni e valigie, adesso
toccava a lei.
Si accorse di quanta poca roba fosse veramente
importante nella sua vita: i libri certo, ma non tutti quelli che riempivano la
sua libreria.
Li divise in 2 grandi scatoloni: su uno scrisse con il
pennarello rosso “ROMA” e sull’altro “CENTRO DIURNO” ( i libri non si buttano
mai! Piuttosto si regalano agli amici, alle associazioni, al tizio che li rivende a metà rezzo al mercatino delle pulci ma buttarli nel bidone della
spazzatura MAI! sarebbe stato come gettare via la cultura)
La stessa cosa fece con gli abiti: scelse
accuratamente quelli che voleva per sé e gli altri li chiuse in 2 grossi sacchi
che avrebbe portato “all’opera S.Vincenzo”.
In mezzo a tutte queste attività la corrispondenza che
arrivava dalla Germania era un punto fisso … ogni giorno il portalettere le
recapitava una busta con un po’ di Germania. Cosa si mangiava, che musica si
ascoltava, com’erano i ragazzi della loro età, cosa facevano nel tempo libero.
E lei continuava a rispondere a queste missive e
depositava tutte le sue lettere in una grande scatola a fiori in attesa di
ricevere l’agognato indirizzo teutonico.
E un pomeriggio, mentre riponeva l’ennesima lettera
nella scatola rimase con la mano a mezz’aria come se l’avesse colpita un
fulmine. Poi si riscosse e corse da sua madre che, in salotto, stava avvolgendo
nella carta di giornale, una collezione di animaletti di vetro di Murano per
poi depositarli dentro una capiente scatola che già conteneva calici e
bicchieri di cristallo.
<< Mamma pensavo una cosa, ma se l’indirizzo di
Francesco non mi arriva prima del nostro trasferimento ? Io non posso
scrivergli che stiamo traslocando, lui non saprà mai il nostro nuovo indirizzo
… come facciamo???>>
La mamma ci pensò un attimo e poi disse :<< sai
cosa facciamo? Lasciamo il nostro nuovo indirizzo alla portinaia con la
preghiera di inoltrarci tutta la corrispondenza che arriverà dopo la nostra
partenza, così nessuna lettera di Francesco andrà persa e quando finalmente ti
manderà il nuovo indirizzo tu potrai spedirgli il nostro di Roma. Non
disperare! Come diceva la nonna Maria :“se lui è quello destinato per te,
nessuno te lo porterà via” Però adesso abbiamo qualcosa di più impellente da
fare : dobbiamo andare a scuola a prendere il nullaosta per il trasferimento nella nuova scuola di Roma.>>
Nel giro di qualche giorno avevano disdetto le varie
utenze, il contratto di affitto dell’appartamento e si preparavano a lasciare
anche loro la città. Del nuovo indirizzo di Francesco però non c’era ancora
traccia.
“Andrà tutto bene, andrà tutto bene…” se lo ripeteva
come un mantra.
Insediarsi nel nuovo appartamento, andare ad
iscriversi a scuola, utilizzare gli ultimi giorni di vacanze per fare un po’ la
turista. Tutte queste occupazioni facevano sì che la nostalgia per “l’amato”
facesse capolino solo alla sera quando esausta si stendeva sotto le coperte.
Dal suo arrivo nella nuova città non aveva ancora
ricevuto alcuna lettera ma pensava che la portinaia del vecchio stabile avesse
ritenuto di raccogliere un po’ di corrispondenza prima di “girarla” al nuovo
indirizzo.
Tutto si muoveva freneticamente e non c’era proprio il
tempo di piangersi addosso.
Sarebbe andato tutto bene … se solo la portinaia …..
(continua)
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